Quando, piuttosto che pagare tre sterline per un caffè cattivo, torniamo a casa a farci una moka. Quando, dopo troppa astinenza, ci concediamo una pizza. Quando le maniere inglesi ci danno sui nervi. Quando mamma ci scrive: “hai mangiato?”. In queste occasioni, siamo Italiani.
Vivere all’estero: qual è la patria sentimentale degli espatriati?
Quando sentiamo di datori di lavoro con comportamenti inaccettabili. Quando lo humor italiano è un po’ troppo denigratorio. Quando non ci riconosciamo nelle nostre istituzioni e quando loro non riconoscono noi. Allora non ci sentiamo Italiani.
All’estero è facile sentirsi italiani
Un po’ come Claudio Magris scrive ne L’infinito viaggiare, vivere all’estero ci fa perdere la nostra appartenenza geografica: ci si sente “sempre, nello stesso momento, nell’ignoto e a casa”. Una volta lasciato il proprio Paese, la nostra bussola interna impazzisce e noi continuiamo a orientarci col suo nord, ma è un nord che varia, e si è condannati a viaggiare per sempre perché non ci si sente arrivati né quando si è via, né quando si torna. A Londra la nostra bussola interna punta verso l’Italia perché ci sono troppe cose che non tornano e ci fanno pensare: “sei su un’altra lunghezza d’onda.
Non appartieni a questo posto”; a volte capita quando non capiamo un accento o un’espressione, altre volte quando abbiamo finito gli adattatori e non sappiamo più dove attaccare il carica batteria con la spina italiana. Vivere all’estero d’altronde è facile farlo da Italiani, sentendosi Italiani. Basta saper cucinare una pasta decente e il test di cittadinanza è superato. Ma in Italia?
In Italia non sempre
Curiosamente capita che tornati in Italia, all’improvviso non ci sembra più di poterci rilassare a lungo e metterci comodi. Prima o poi qualcosa ci dirà di nuovo: “sei su un’altra lunghezza d’onda. Non appartieni a questo posto”. Vivere all’estero e tornare a casa significa che mentre siamo con amici ci verranno in mente battute o riferimenti a cose che loro non possono capire, o che possiamo passare per snob quando iniziamo a raccontare: “domenica ero a fare brunch a Covent Garden…” ma in realtà il senso della nostra frase equivaleva a un “domenica ero a bere il caffè al bar della piazza”. Soprattutto però, vivere all’estero significa che quando siamo in Italia lo siamo solo temporaneamente, e lo sanno anche le persone con cui veniamo in contatto.
Se siamo con amici questo non è un problema: loro sanno quando e come ci si può sentire e vedere la prossima volta. Ma gli sconosciuti notano che tutto è un po’ meno vero e più fuggevole, transitorio, perché anche noi siamo in transito e la nostra casa non è lì. Ma allora dove?
La casa degli emigrati
Dove punta la nostra bussola, se non ci sentiamo a casa né in Italia né fuori? La risposta è: ovunque e in nessun luogo. La nostra bussola punta sempre da un’altra parte. Vivere all’estero come vivere al di fuori, vivere, sempre, nell’“altro”. Alla fine ci abbandoniamo alla nostra bussola impazzita e viaggiamo avanti e indietro tra l’Italia, Londra e il mondo. Questa è la nostra condizione di espatriati, che noi non viviamo come condanna a vagare senza meta, ma come identità. Noi siamo il viaggio. Per dirla con Magris: “viaggiare non per arrivare ma per viaggiare, per arrivare il più tardi possibile, per non arrivare possibilmente mai”.