Il Pit stop, è una delle sequenze più emozionanti per gli appassionati di formula 1. Gli amanti della Ferrari sanno che la fermata del pilota ai box, è uno dei momenti topici della gara, e fino a qui ci siamo. Cosa hanno in comune però una gara e un ospedale pediatrico di Londra? In apparenza nulla, se non fosse che qualche anno fa, due medici del “Great Ormond Street Hospital for Children” uno degli ospedali pediatrici più famosi di Londra, prima di un operazione, stanno guardando il gran premio di Formula 1 in tv. Ma facciamo un passo indietro, nel 2001 Sir Ian Kennedy, un ricercatore specializzato nel settore sanitario, presenta un report.
Pit Stop ed il suo team
Una ricerca che evidenzia il pericolo del trasferimento dalla sala operatoria al reparto di terapia intensiva. Il numero maggiore di incidenti si verifica durante lo spostamento dei piccoli pazienti, ovvero durante il “passaggio di consegne”. I motivi sono molti, questo passaggio è composto da molti fattori e dinamiche umane, soprattutto da velocità e comunicazione tra i componenti della squadra. E qui entra in gioco la Ferrari, anzi per meglio dire, il suo leggendario team.
“Ammiro tutti coloro che hanno una passione ed hanno la sapienza e la costanza di coltivarla. Sono loro il motore del mondo”.
Enzo Ferrari
Pazienza e costanza, sono sicuramente due doti che accomunano i piloti e i medici. La pressione, lo stress, e il pericolo che devono affrontare gli uni sulla pista, gli altri in sala operatoria, sono gli stessi. Ma torniamo a quel giorno al Great Ormond Street Hospital for Children. Uno dei due medici che guardano il Gran Premio, è il dr. Martin Elliot, il primario. Osserva con attenzione il lavoro di squadra dei meccanici ai box, il cambio delle gomme, il rifornimento di benzina, la riparazione di un pezzo meccanico. Il tutto in pochi secondi e con un rumore del diavolo in sottofondo, talmente alto che i meccanici devono parlarsi a gesti. Un errore è fatale. Cosa c’è di diverso da una sala operatoria? Coordinazione, comunicazione, velocità e un grande affiatamento, a volte serve solo un’occhiata per capirsi. Non c’è tempo per spiegare, ognuno ha un compito preciso, ognuno dipende dall’efficienza dell’altro. Come nel Pit stop.
L’illuminazione, l’idea e la richiesta d’aiuto al “Circus”
A questo punto è tutto chiaro ai due medici, l’associazione di idee è fatta: si mettono subito in contatto con il team McLaren, la scuderia automobilistica inglese, tramite il figlio di collega di terapia intensiva Sid Watkins, che è medico in formula 1. Il progetto è bello e ambizioso ma mancano i soldi per finanziarlo. Siamo in Formula uno in ogni caso, il loro lavoro è progettare e mettere in atto le ambizioni, la clinica londinese si mette in contatto con la Ferrari tramite la Shell a Silverstone. I finanziamenti arrivano, ormai il progetto benefico può partire ed anche i medici, che arrivano a Modena. L’intero team medico lavora a stretto contatto con il team automobilistico, studiano i video della sala operatoria, vengono rilevati errori e lacune, fatte simulazioni.
Oggi, i benefici di quel progetto realizzato con la Ferrari, hanno contribuito a salvare molte vite. La clonazione della squadra in sala operatoria è stata ripresa e utilizzata in molti ospedali, dopo che il Dr. Elliot ha portato la sua testimonianza, presso i colleghi, spiegando come molti errori sono stati visti e corretti, applicando il “Protocollo Ferrari”.