Il fascino delle residenze reali è spesso accresciuto dalle storie di amori clandestini ed efferati delitti avvenuti all’interno delle sue stanze. Non fa eccezione l’Hampton Court Palace, palazzo situato nei pressi di Richmond upon Thames, a Londra, che conserva i racconti di un re donnaiolo e spietato, Enrico VIII, che fu capace di sedurre ed abbandonare tante donne, conducendole, talvolta, alla morte.
Una delle dimore del terrore di Enrico VIII
Appartenuta originariamente all’ordine dei Cavalieri di Malta, Hampton Court Palace divenne la residenza del vescovo Thomas Wolsey. Il sacerdote, come spesso è accaduto nelle varie corti europee, pur avendo origini umili, era riuscito ad entrare nelle grazie del re inglese Enrico VIII grazie al suo spirito freddo, spietato e calcolatore. La carica di cancelliere concessagli, inoltre, gli permise di essere l’ago della bilancia della politica inglese per oltre dieci anni. Il potere acquisito da Wolsey, però, diventò sempre più grande e il re, notoriamente intransigente rispetto alle ingerenze esterne, cominciò a non tollerarne la presenza. Il rifiuto di annullare il matrimonio tra quest’ultimo e Caterina d’Aragona, infine, sancì la definitiva rottura tra i due. Nel tentativo di recuperare la fiducia del re, Wolsey gli offrì il suo palazzo, diventato il più lussuoso del regno. Il sovrano accettò, ma subito dopo lo fece incarcerare con l’accusa di tradimento.
A partire da quel momento Hampton diventò il luogo in cui Enrico VIII cominciò a portare le sue moglie e i suoi figli, costringendoli a subire spesso ripetute umiliazioni. Un caso molto noto fu quello della quinta moglie di Enrico, Catherine Howard, 32 anni più giovane del sovrano. La ragazza, che mal digeriva il matrimonio forzato, ben presto si innamorò di Thomas Culperer, un giovane di corte. Alcuni seguaci del re, per compiacerlo, riferirono la relazione clandestina al sovrano, che riuscì a cogliere i due amanti sul fatto al ritorno da un viaggio. Enrico fece immediatamente rinchiudere la regina nelle sue stanze. Sapendo che il re ogni mattina andava a pregare nella cappella del palazzo, la regina una mattina eluse la sorveglianza delle guardie per raggiungerlo e implorare perdono. Trovata chiusa la cappella, cominciò ad urlare disperata e a prendere a pugni e calci la porta, fino al momenti in cui le guardie la trascinarono di nuovo nelle sue stanze. La regina, dopo un breve periodo, fu portata nella torre di Londra, dove subì la decapitazione a soli vent’anni.
I fantasmi di Hampton Court
Centocinquant’anni dopo l’accaduto, il fantasma di Catherine Howard avrebbe fatto, secondo alcuni testimoni, la sua prima apparizione lungo il corridoio che porta alla cappella di Hampton. Da quel momento sarebbe state molte le segnalazioni di uno spettro urlante e piangente in quella zona del palazzo. L’apparizione di questa dama bianca durerebbe pochi secondi e la modalità con cui essa si mostra fa proprio tornare in mente la scena della giovane donna che invano chiede pietà al vecchio e spietato sovrano.
Quella di Catherine Howard, comunque, non è l’unica storia misteriosa della residenza reale. Nella metà del Cinquecento, una donna di nome Sybil Penn aveva il compito di accudire il figlio di Enrico VIII, Eduardo, rimasto orfano di madre. La donna rimase a corte per tutta la sua vita, stringendo un rapporto profondo con la regina Elisabetta I. L’epidemia di vaiolo del 1562 colpì entrambe le donne, risultando però fatale solo a Sybil. La sua salma venne sepolta nella chiesa di St. Mary, dove sarebbe rimasta fino agli anni Venti dell’Ottocento, quando l’edificio venne distrutto e le sue ossa disperse. Secondo alcune testimonianze, ad Hampton varie sono state le apparizioni di un fantasma di donna che chiedeva di essere sepolta in una terra consacrata.
Alcuni decenni dopo la distruzione della chiesa, inoltre, avvenne un altro episodio molto inquietante. Alcuni membri della famiglia Ponsonby, che abitava nelle stanze che furono di Sybil Penn, cominciò a sentire uno strano rumore proveniente da un’area del palazzo. Si scoprì che in quella zona c’era una camera murata con uno strumento tessile consumato dall’utilizzo. Altro non era che la camera dove Sybil trascorreva le sue giornate. O forse dove le trascorre ancora, in attesa di riposare in pace.