Il gin italiano? Certamente ha sempre avuto una grande importanza nel nord Europa, è strettamente legato all’Italia nelle sue origini. Come italiani possiamo dire che la paternità del primo liquore al gin è nato in Italia mille anni fa. Al riguardo lo testimonia un manoscritto salernitano del 1055; il Compendium Salernitanum.
Il gin italiano
In questo manoscritto millenario, i monaci medioevali campani insegnano come ricavare benefiche infusioni da erbe e piante. Sappiamo bene quanto sia stata importante al riguardo la scuola di medicina salernitana. Si spiega come estrarre i principi attivi delle bacche di ginepro per infusione con il vino.
Non era un vero e proprio gin, ma un vino al ginepro molto simile. Solo alla metà nel 1600 nel nord Europa, si corresse e diciamo che si ingentilì la pesante acquavite di cereali. Era una bevanda molto diffusa, ottenuta dalla macerazione e dalla distillazione di granoturco o d’orzo con il malto. Ci mise lo zampino Deleboe, uno scienziato, che perseguiva scopi farmaceutici; e lo fece aggiungendo bacche di ginepro nella macerazione dei cereali. L’idea era quella di ottenere un distillato-medicina energetico per lo stomaco e i reni. Questo concentrato ebbe il nome di Jenever che, significa ginepro.
Il gin italiano e Mother Gin
Gli inglesi conobbero questa bevanda durante la Guerra degli Ottant’anni. Dapprima lo chiamarono dutch courage, poi, trasmigrato in Inghilterra, il jenever divenne gin. La spinta decisiva all’anglicizzazione del liquore la dette l’olandese Guglielmo III d’Orange, diventato re d’Inghilterra nel 1689. Guglielmo, favorì la produzione del gin a danno del cognac degli odiati francesi. Si perfezionò questo distillato, per renderlo più fruibile agli inglesi, con l’aggiunta di altri estratti vegetali.
Iniziò una produzione industriale a prezzi “stracciati”, aggravando la piaga dell’alcolismo. (Drunk for a penny, dead drunk for two pence, ubriaco con una monetina, fradicio con due). Ma Madame Geneva o Mother Gin – come fu chiamato il distillato nella prima metà del Settecento – doveva essere sconfitta ad ogni costo. Quando il governo di quei tempi impose una feroce tassa sulla distillazione del gin nelle strade si urlò «No gin, no king» minacciando la monarchia.
Estratto di ginepro
Nel frattempo il gin aveva solcato i mari di tutto il mondo, attraverso le navi mercantili. Declinato con acqua tonica, ghiaccio e fettina di limone, si sublimò nel gin tonic, il cocktail più famoso al mondo. Il gin and tonic (gli inglesi pretendono la «e») nasce in India nell’800 come medicina per i soldati colpiti dalla malaria. I medici della compagnia inglese delle Indie Orientali ricorrendo al chinino, efficace per combattere la malattia, ma amarissimo da ingurgitare, spinsero i soldati ad aggiungervi un po’ di zucchero e gin.
Il gin tonic entrò presto nei salotti aristocratici, nelle ricche case borghesi e negli esclusivi club londinesi. Divenne popolarissimo quando Johann Jacob Schweppe, aggiunse l’anidride carbonica all’acqua, inventando l’acqua tonica. Winston Churchill lo adorava, come Klarke Gable, che abbinava ai suoi avana Romeo y Julieta.
Compendium Salernitanum
Chi ama una nota profumata orna il bicchiere con qualche foglia di basilico o di lavanda o vi immerge un rametto di basilico, fetta di pompelmo. Ian Fleming, nel romanzo Licenza di uccidere, rivela qual è il G&T preferito dall’agente 007: “Bond ordinò un doppio gin and tonic e un intero lime verde. Quando arrivò la bevanda, tagliò il lime a metà, lasciò cadere le due metà spremute nel lungo bicchiere, riempì quasi il bicchiere di cubetti di ghiaccio e poi versò l’acqua tonica”. Secondo i veri cultori, la proporzione giusta per un Martini secco è sette parti di gin, una di vèrmut dry. Ernest Hemingway, pretendeva un Martini dry secco come il deserto del Kalahari. Si racconta che versasse un po’ di vèrmut nella coppetta da cocktail, lo rigirasse per profumarla e lo rovesciasse nel secchiaio.